Con il DSM 5 è stato introdotto un tentativo di cambiamento nella diagnosi di disturbo di personalità. Con il nuovo manuale è possibile, quindi fare diagnosi di disturbo di personalità in due modi.
Il primo modo è quello proposto nella sezione II, che è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al vecchio manuale, con l'individuazione di 10 tipologie di disturbi di personalità divisi in 3 cluster (A=strano ed eccentrico; B=amplificativo ed emotivo; C=timoroso e pauroso). I criteri per identificare un disturbo di personalità sono rimasti per lo più invariati, quindi la diagnosi si basa sulla valutazione della presenza di un pattern di esperienza interiore e comportamento inflessibile e pervasivo, che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e che causa un disagio clinicamente significativo o una compromissione del funzionamento sociale, affettivo e lavorativo. Per fare diagnosi si valutano 4 aree: cognizione, intesa come i modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti; affettività, cioè, la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva; funzionamento interpersonale e controllo degli impulsi. Nella sezione III si propone un modello alternativo di diagnosi dei disturbi di personalità. Tale proposta rientra nel tentativo operato nel nuovo manuale di passare da una diagnosi di tipo categoriale di occorrenza/non occorrenza del sintomo, ad una diagnosi di tipo dimensionale, orientata cioè ad inquadrare il funzionamento dell'individuo lungo un continuum normalità Vs patologia. La diagnosi di disturbo di personalità proposta è ibrida, combinando la diagnosi dimensionale del criterio A, che valuta il funzionamento, con la diagnosi categoriale del criterio B, che valuta la presenza di tratti patologici (categorie) di personalità dei domini di personalità. CRITERIO A: livello di compromissione del funzionamento Sé e del funzionamento interpersonali (funzionamento adattivo vs compromissione del funzionamento lieve, moderata, grave e estrema). Per quanto riguarda i disturbi del Sé, questi vengono valutati sulla base di due elementi:
Anche in questo caso i tratti patologici vengono considerati in una prospettiva dimensionale e sono organizzati in domini patologici di personalità:
CRITERIO D. La compromissione non è meglio compresa come normativi per la fase di sviluppo individuale o per l’ambiente socio-culturale. Oltre a questi criteri, ci sono i criteri per una diagnosi differenziale medica o legata all'uso di sostanze/farmaci che spieghino la compromissione. La sezione III descrive solo 6 delle 10 tipologie di disturbo di personalità presenti nella sezione II (tra l'altro invariati rispetto al DSM IV-TR), ovvero schizotipico, antisociale, borderline, narcisistico, evitante e ossessivo-compulsivo. Mancano, e non saranno reintegrati il disturbo di personalità schizoide, il paranoide, l'istrionico e il dipendente. Ai 6 disturbi di personalità, si aggiunge la possibilità di fare una diagnosi TS (Tratto-Specifica). Per tratto di personalità si intende una tendenza a percepire, sentire, comportarsi e pensare in modi relativamente costanti nel tempo e nei contesti. I disturbi di personalità esclusi (schizoide, il paranoide, l'istrionico e il dipendente) rientrano nelle possibilità di diagnosi di disturbo TS (ad es. il tratto sospettosità del dominio distacco/estroversione esaurisce perfettamente i criteri prima delineati nel disturbo di personalità paranoide). La diagnosi DP-TS, quindi, si fa quando il funzionamento è compromesso, ma il soggetto non presenta i tratti patologici richiesti per la diagnosi dei 6 DP, ma tratti di personalità patologici misti. Bibliografia
Diagnosi di disturbo di personalità secondo il DSM 5 diMaria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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Negli ultimi decenni la letteratura psichiatrica si è concentrata sullo studio dei fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi mentali gravi come le psicosi.
Il modello eziopatogenetico più accreditato è il cosiddetto modello vulnerabilità-stress, che sostiene che l'insorgenza e decorso di una psicosi sia determinato da una vulnerabilità soggettiva unita all'impatto di stress ambientali, che possono scatenare sintomi psicotici attivi. Le principali determinanti di questa vulnerabilità sembrano essere biologici (genetici e legati allo sviluppo neurologico) e la sua espressione come disturbo franco è influenzato da entrambi i trigger, psicosociali e fisici (ad esempio abuso di sostanze). Il concetto di stati mentali a rischio rimanda alla cosiddetta fase prodromica della psicosi, ovvero una fase in cui non sono ancora presenti sintomi psicotici tout court, ma il soggetto incomincia a presentare delle alterazioni emotive, cognitive e del comportamento peculiari, che gli studi longitudinali hanno mostrato essere presenti nel circa 40% dei soggetti diagnosticati come esordio psicotico (vedi gli studi di Young e Mc Gorry e la letteratura psichiatrica recente di stampo anglofono). È importante precisare che gli stati mentali a rischio e i prodromi indicano una aumentata vulnerabilità allo sviluppo di un disturbo psicotico e/o un disturbo psichiatrico maggiore. Young e Mc Gorry definiscono stati mentali a rischio quel set di sintomi che la letteratura mostra essere caratteristico della fase di transizione (la cosiddetta fase prodromica) verso l'esordio psicotico. Tali sintomi comprendono: sintomi psicotici attenuati, ovvero sintomi di stampo psicotico (umore delirante, idee di riferimento, esperienze percettive insolite) con intatto esame di realtà, quindi ben criticati dal soggetto, ma di intensità e/o frequenza insufficiente; sintomi psicotici brevi e intermittenti, ovvero sintomi francamente psicotici ma con rapida remissione spontanea. Tra gli stati mentali a rischio vanno annoverati anche i soggetti che presentano dei sintomi del tutto aspecifici (anche banalmente sintomi di ansia), ma che presentano anche un importante deterioramento del funzionamento psico-sociale e una familiarità positiva per psicosi. Gli stati mentali a rischio rientrano nel quadro più generale dei sintomi prodromici, che sono un eterogeneo gruppo di comportamenti correlati con una franca psicosi, ovvero:
Cosa avviene durante la fase prodromica? La fase prodromica è caratterizzata da una percezione di fortissimo stress interno o esterno, che il soggetto non riesce a spiegare o di cui non riesce ben a riconoscere la causa (fase di irritazione). C'è la comparsa dei cosiddetti sintomi di base: disturbi dell'attenzione/concentrazione; disturbi della forma del pensiero – che si blocca, è accellerato, confuso, vuoto; disturbi della comprensione – es. mancata comprensione delle metafore e comprensione letterale; disturbi della memoria; funzionamento emotivo ridotto; alterazione dell'affettività, ovvero espressione facciale, contatto oculare, eloquio e affettività inappropriata. Il soggetto percepisce, in questa fase, una atmosfera nuova e inconsueta a cui non riesce a dare un senso e un significato. Tale percezione si intensifica progressivamnte con un effetto dirompente sull'assetto psicologico fino a quel momento. Ecco che il soggetto ricerca una nuova spiegazione e una nuova cornice di significato per cercare di dare senso alle esperienze inconsuete. Tale spiegazione è cercata all'esterno, ovvero c'è una proiezione all'esterno della causa dei cambiamenti esperenziali (fase di esternalizzazione). Le percezioni, le azioni e le sensazioni corporee strane ed insolite vengono esperite “come se” fossero dei “fatti dall’esterno” e i pensieri uditi “come se” fossero vocalizzati da voci esterne (esperienze di passività di Schneider: idee di influenzamento somatico; senso di azioni imposte; furto ed influenzamento del pensiero). Il contenuto del pensiero diviene insolito, l'umore delirante, il paziente appare perplesso rispetto alle proprie esperienze e compaiono idee di riferimento e idee non bizzare. Compaiono, quindi, i primi sintomi positivi, caratteristici della schizofrenia, sebbene in maniera più sfumata e incompleta. Il mantenersi nel tempo di tali esperienze porta ad una maggiore strutturazione della sintomatologia psicotica (fase di concretizzazione). Se nella fase precedente il paziente era ancora critico e perplesso dalle spiegazione “come se” delle sue esperienze, ora c'è una concretizzazione della spiegazione insolita dell'esperienza, non più passibile di critica. Individuare per intervenire precocemente L'obiettivo della precoce individuazione di stati di vulnerabilità, ovvero di stati mentali a rischio, è di predisporre degli interventi tempestivi. Tali interventi possono avere come target sia i soggetti in fase prodromica o che presentano uno stato mentale a rischio sia soggetti con esordio psicotico vero e proprio. Quando si parla di intervento precoce, il primo obiettivo è quello di ridurre la DUP (Duration of Untreated Psychosis), ovvero il periodo che intercorre tra l’esordio dei primi sintomi di natura psicotica e il primo trattamento terapeutico, che in media è di 6/18 mesi. Minore DUP, infatti, si correla a:
Si può guarire dalla psicosi? La maggior parte dei giovani che vivono il loro primo episodio psicotico fa un recupero completo, anche se una minoranza significativa (circa il 10-20%) svilupperà sintomi persistenti. La traiettoria di recovery è abbastanza variabile. Una volta che il trattamento viene istituito, alcune persone miglioreranno lentamente, ma inesorabilmente, mentre altri passeranno attraverso un periodo di apparente mancanza di progressi e per poi fare sbalzi di benessere. Una volta raggiunta una recovery, l'obiettivo sarà il mantenimento e la promozione del benessere per evitare delle ricadute, Ogni ricaduta è un rischio potenziale per lo sviluppo di una compromissione e disabilità duratura e contribuisce allo sviluppo di una resistenza al trattamento. Bibliografia Besozzi, M., Comai, A., Garbazza, C., Provenzani, U., Boso, M. (2012). Diagnosi precoce e intervento tempestivo nei disturbi psicotici. Bollettino della Società Medico Chirurgica di Pavia 125(1):29-36. Edwards, J., McGorry, P., D. (2004). Intervento precoce nelle psicosi. Guida per l'organizzazione di servizi efficaci e tempestivi. Centro scientifico Editore, Italia. Philips LJ, Yung A, Mc Gorry PD et al. (2005). Mapping the onset of psychosis: the Comprehensive Assessment of At-Risk Mental States. Aust N Zeal J Psychiatry; 39:964-971. Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Finite le tanto desiderate vacanze e ripreso il solito tran tran quotidiano, è alto il rischio di ritornare in fretta nell'occhio del ciclone dei mille impegni familiari e professionali, con un innalzamento dei livelli di stress che rischia di vanificare in breve tempo gli effetti positivi del maggiore riposo delle vacanze.
Cosa è lo stress? Come fare per non rimanere di nuovo sue vittime? Lo stress è una risposta non specifica dell'organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso. Qualunque richiesta, anche la più banale, causa uno stress perchè richiede all'organismo di modificarsi ed adattarsi alla nuova condizione (sindrome di adattamento). Di fronte ad uno stimolo stressante (stressor), il soggetto cercherà una forma di adattamento: valuterà l’evento che deve essere affrontato, cercando una strategia per farvi fronte. Se, nel breve termine, sarà capace di reagire alle pressioni cui è sottoposto, recuperando la condizione di equilibrio iniziale, le pressioni possono essere considerate positive: si parla di eustress o stress positivo. Se, al contrario, le condizioni sfavorevoli supereranno le capacità e le risorse del soggetto oppure saranno prolungate nel tempo, l’individuo diventerà incapace di reagire e offrirà risposte poco adattive: questo viene definito distress o stress negativo. Il distress è associato ad un vissuto di minaccia e può essere causato da una mancanza/carenza di risorse per far fronte al problema oppure da uno stress che dura a lungo nel tempo (stress cronico). Contrariamente a quello che si può comunemente pensare, la totale mancanza di stress è negativa, poiché è associata ad una situazione di letargia, apatia, mancanza di entusiasmo, noia. In una situazione di benessere, infatti, l'individuo deve avere una minima fonte di sollecitazione, di eustress, che lo stimola. La presenza di stress positivo, di eustress, è associata ad una condizione di successo, positività, energia. Come faccio a distinguere uno stress positivo ed uno stress negativo? La percezione dello stress è fortemente soggettiva ed è mediata sia dalle caratteristiche dello stressor, che dalle caratteristiche e risorse del soggetto. Tanto più la fonte di stress è intensa o prolungata nel tempo, tanto più questa causerà un disagio nelle persone. Due persone nella stessa situazione, invece, avranno una capacità di fronteggiare lo stress completamente differente, che dipenderà dalle caratteristiche personali, che porteranno ciascuno a privilegiare un tipo di risposta piuttosto che altre, in base a ciò che sa fare meglio o alle proprie esperienze personali. Un ruolo importante è, inoltre, svolto dagli gli apprendimenti, che determinano la possibilità di riproporre strategie che si sono già rivelate efficaci in passato.
Ma che cosa è l'adattamento? In che cosa consiste?
Ogni volta che uno stressor perturba l'equilibrio, l'organismo cerca di ritrovare l'omeostasi, ovvero l'equilibrio perduto, attraverso reazioni fisiche, mentali, neurofisiologiche. Le possibili risposte allo stress possono essere:
L'adattamento è un'attività complessa e consiste nella messa in atto di azioni finalizzate alla gestione o soluzione dei problemi, alla luce della risposta soggettiva suscitata dagli eventi fonte di stress. Le azioni volte ad accrescere l'adattamento potranno essere rivolte sia al soggetto, che modificherà qualcosa nel suo funzionamento attuale per consentire il raggiungimento di un nuovo equilibrio, sia all'ambiente, che sarà modificato o riorganizzato alla luce delle nuove esigenze. Si parla di sindrome generale di adattamento proprio per indicare la risposta del soggetto ad una situazione di stress. Tale sindrome si articola in tre fasi:
Suggerimenti per migliorare la capacità di far fronte allo stress al lavoro
di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
Penso che sia stress... didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Capita a tutti di passare momenti difficili, in cui tutto sembra andare storto e si ha la sensazione che le energie si stiano esaurendo completamente.
Può capitare di sentirsi particolarmente inquieti, nervosi, in cerca di risposte o, al contrario, con la sensazione che sia necessario un cambiamento al più presto ma senza riuscire a comprendere la direzione da prendere. Capita, anche, che la fine di una relazione, di un amore, di un'amicizia ci lasci esterrefatti, confusi, arrabbiati, a domandarci da dove ripartire. A chi rivolgersi? In queste circostanze i primi ad accorrere in nostro aiuto sono i nostri amici, parenti, colleghi, ma non sempre i consigli e le risposte amorevolmente offerti riescono a farci stare meglio.
Altro interlocutore può essere il medico di base... ma se le cose vanno così...
Può anche capitare di pensare rivolgersi a lui...
Tante soluzioni diverse al nostro stato di malessere.
Ma siamo sicuri di avere ricevuto le risposte di cui avevamo bisogno? #VoltaPagina Hai mai pensato di rivolgerti ad uno psicologo? O sei tra quelle persone che credono ancora alla bufala "Dallo psicologo ci vanno solo i pazzi" ? I video sopra mostrati fanno parte di una miniserie promossa dall'Ordine Psicologi Lazio nell'ambito di una campagna di sensibilizzazione e promozione della professione dello psicologo.
di Dott.ssa Maria Luisa Abbinante
#VoltaPagina didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. Based on a work at http://www.ordinepsicologilazio.it/voltapagina/. Pubblicato da Studio di Psicologia Eufonia su GuidaPsicologi.it all'indirizzo web http://www.guidapsicologi.it/articoli/lirritabilita-grave-nel-bambino. L'irritabilità è una eccessiva risposta agli stimoli. Il bambino irritabile è un bambino che fatica ad accettare frustrazioni, anche minime, mettendo in campo reazioni che vanno dai capricci, piagnucolii, a veri e propri scoppi di collera e aggressività contro gli oggetti e le persone. In alcuni casi, l'irritabilità del bambino può essere legata ad uno stile educativo genitoriale particolarmente indulgente, che non gli permette di confrontarsi con la possibilità di posticipare nel tempo la gratificazione dei propri desideri, con il risultato che il bambino non sarà capace di aspettare e tollerare minime frustrazioni delle proprie richieste. In altri casi, l'irritabilità infantile cronica può segnalare la presenza di un problema più importante. L'irritabilità nei bambini è stata particolarmente studiata negli ultimi anni, con lo scopo di meglio comprenderne la fenomenologia e comprendere quando diventa il segnale di qualcosa che non va nella vita e nella salute del bambino. Le ricerche epidemiologiche evidenziano un incremento delle diagnosi di disturbo bipolare BP tra i bambini e gli adolescenti americani negli ultimi 15 anni. Secondo alcuni ricercatori la ragione di questo aumento della diagnosi è la considerazione dell'irritabilità grave e cronica come manifestazione tipica del BP nei bambini e negli adolescenti. In età evolutiva l'irritabilità cronica sarebbe, infatti, l'equivalente della mania. L'irritabilità, che va dall'essere semplicemente noiosi/fastidiosi e permalosi, all'essere rabbiosi con scoppi di collera, è comune nei disturbi mentali (prevalenza tra il 3% e il 20%); essa è considerata una vera e propria manifestazione di disregolazione del tono dell'umore. La SMD è una condizione caratterizzata da:
Questi sintomi incominciano prima dei 12 anni per almeno un anno, non ci sono periodi senza sintomi superiori ai 2 mesi. (Leibenluft et al., 2003; trad. it. mia) Il National Institute of Mental Health (2001) ha proposto che la SMD sia una manifestazione evolutiva precoce della mania, identificando il cosiddetto "broad phenotype" del disturbo bipolare in età evolutiva. Quindi il bambino con irritabilità cronica è un bambino bipolare? Studi longitudinali si sono occupati di meglio comprendere la natura e l'evoluzione nel tempo della SMD. Brotman et al. (2006) ha ripreso il concetto di Severe Mood Dysregolation (SMD), sottolineando la forte comorbidità con il disturbo della condotta e, più in generale, con i disturbi da comportamento dirompente - il 67% circa dei soggetti SMD avevano anche un'altra diagnosi in asse I, di cui il 26% ADHD, il 25% disturbo della condotta, il 24% disturbo oppositivo provocatorio – segnalando la necessità di un'accurata diagnosi differenziale tra i disturbi dell'umore e i disturbi del comportamento. Tale studio ha evidenziato, inoltre, che il 20% circa dei soggetti SMD rispettavano i criteri anche per disturbo d'ansia e/o disturbi depressivi, sottolineando l'influenza dell'umore sulle manifestazioni comportamentali. In questo studio longitudinale, Broatman mostra, però, che al follow-up i soggetti SMD avevano maggiore probabilità di mostrare un disturbo depressivo e non di tipo bipolare. Risultati simili sono stati replicati anche in altri studi (Mikita & Stringaris, 2013; Axelson et al., 2012; Leibenluft et al, 2003, 2006), avvalorando la tesi secondo la quale la disregolazione del tono dell'umore in età evolutiva, che assume le forme di irritabilità e scoppi di collera, in realtà, sia una condizione che permette di predire l'insorgere in età adulta di un disturbo dell'umore di natura depressiva e non bipolare e, quindi, deve rientrare a pieno diritto tra i criteri diagnostici della depressione in età evolutiva. Il recente DSM 5 (APA, 2013) ha risolto in parte la diatriba trai sostenitori dell'irritabilità come precursore della mania e i sostenitori del sintomo come manifestazione tipica del disturbo depressivo in età evolutiva, introducendo una nuova diagnosi, il Disturbo da disregolazione dell'umore dirompente (DMDD), che è stato inserito nel capitolo dedicato ai disturbi depressivi e in cui centrale è la valutazione dell'irritabilità infantile. Cosa vuol dire tutto questo? La nuova diagnosi DSM 5, sicuramente, evidenzia la necessità di valutare più attentamente l'umore, prima di porre una diagnosi di disturbo del comportamento (nelle sue varie forme), considerando la forma di intervento terapeutico più appropriata. Visto il sovrapporsi della sintomatologia, un interrogativo rimane rispetto alla diagnosi differenziale con il disturbo bipolare con esordio nell'infanzia e adolescenza, al fine di un intervento precoce. Consigli per i genitori In tutti i casi sopracitati, anche nelle situazioni in cui si deve valutare la presenza di un disturbo psichiatrico precoce, l'irritabilità rimane sempre espressione di una difficoltà del bambino a comprendere quanto sta accadendo attorno a lui, il Mondo che vive e la possibilità di non vedere immediatamente realizzati i propri desideri. Lo stile educativo è lo strumento che ciascun genitore ha a sua disposizione per aiutare il bambino, insegnandogli la possibilità di autoregolazione delle proprie emozioni e permettendogli di superare l'illusione di onnipotenza. Secondo gli esperti lo stile educativo autorevole è, senza dubbio, l'approccio educativo più coerente e capace di promuovere tale capacità di autoregolazione. Il genitore autorevole richiede rispetto e stabilisce regole e tempi per soddisfare ciascun desiderio e volontà del bambino, ne riconosce i bisogni e sollecita la sua opinione. Il genitore autorevole riesce a stabilire un rapporto affettuoso con i propri figli, riconosce e valorizza la loro personalità, li educa ad essere autonomi e li incoraggia ad assumersi le proprie responsabilità e a rispettare gli accordi. Bibliografia
Articolo originale pubblicato su http://brainfactor.it/index.php?option=com_content&view=article&id=717:indagine-preliminare-sullapplicazione-del-metodo-ermeneutico-fenomenologico-alla-process-research&catid=46:integrazioni&Itemid=3 Secondo Di Nuovo (2007), affinché la psicoterapia possa definirsi sperimentalmente convalidabile occorre che si avvalga, per la verifica delle proprie ipotesi, della triplice procedura adottata dalle scienze naturali, che ottenga cioè una convalida logica, una convalida pragmatica e una convalida esplicativa.
La convalida logica pertiene alla coerenza tra teoria psicopatologica, obiettivi terapeutici e tecniche di intervento, e ha lo scopo di acquisire una concordanza tra le nuove conoscenze e il corpus teorico che né è matrice. La convalida pragmatica concorre alla verifica degli effetti: una strategia d’intervento è valutata secondo criteri di efficacia e di utilità. Questo approccio è definito in letteratura “outcome research” in quanto fondato sulla valutazione del risultato per mezzo di confronti pre e post-terapia ed eventuali follow up (Migone, 1996). La convalida esplicativa pertiene invece all’ambito della “process research” che considera il processo terapeutico nel suo incedere: è l’evolversi del cambiamento del paziente a essere posto a tema dell’indagine attraverso momenti di assessment periodici (Di Nuovo, 2007; Migone, 1996). Questo tipo di approccio è finalizzato a fornire il senso di ciò che accade in terapia definendo, al di là dell’esito, perché il trattamento funziona o meno. Il “cambiamento” può essere valutato secondo modalità essenzialmente quantitative, qualitative o attraverso una procedura mista. La valutazione quantitativa, sostanziando l’effetto esperienziale della terapia in misurazioni psicometriche, prescinde però perlopiù dal «Chi» del paziente (e del terapeuta); coglie il “quanto” ma non il “come” del processo terapeutico (Liccione, 2011; Liccione, 2012; Allegri et al., 2011; Petesi et al., 2011). L’alternativa qualitativa, invece, attraverso metodologie come l’analisi del discorso e l’analisi narrativa intende cogliere il senso del processo clinico, con specifico riferimento ai processi terapeutici che sottendono il cambiamento esperienziale del paziente (Di Nuovo, 2000). L’approccio ermeneutico fenomenologico, coniugando lo studio dell’autobiografia - nell’accezione ricoeuriana di identità narrativa - e lo studio dell’esperienza in prima persona, fornisce una possibile metodologia di analisi del processo terapeutico a contributo degli studi sulla process research. Esperienza e raccontoIl racconto di sé è la riconfigurazione narrativa della propria esperienza. Secondo Ricoeur (1990) la concatenazione di eventi che costituisce l’intreccio di una storia, consente di combinare la “stabile” permanenza del protagonista nel tempo (medesimezza), con la variabilità e la discontinuità dell’esperienza (ipseità). L’intreccio, dunque, possiede una propria forma di identità dinamica attuata attraverso la seconda fase della Mimesis (riconfigurazione), che permette la “sintesi dell’eterogeneo” e, conseguentemente, “la concordanza discordante”: viene così risolta l’urgenza di armonizzare la narrazione secondo un principio d’ordine includendo discordanze minaccianti l’unità della stessa. Tuttavia, parte importante della psicopatologia origina proprio da modalità non identitarie di riconfigurare l’esperienza in racconto (alterazione identitaria) (Liccione, 2011; 2012). L’obiettivo della terapia diventa pertanto la trasformazione di Sè, che accade quando, attraverso il racconto in terapia e l’attuazione delle consegne fornite dal terapeuta, il paziente riconosce dei modi esperienziali non identitariamente riconfigurati o non affatto riconfigurati. Applicazioni e metodologia in una psicoterapia individuale di 22 seduteLo scopo del nostro lavoro è apportare un contributo alla process research attraverso l’applicazione di una metodologia di analisi qualitativa fondata sul metodo ermeneutico-fenomenologico. Il materiale su cui è avvenuta l'analisi è composto dalle trascrizioni delle videoregistrazioni di un intero percorso psicoterapeutico, costituito da 22 colloqui, distribuiti lungo l'arco di 11 mesi. La variabile d’interesse è rappresentata dallo sviluppo narrativo delle tematiche giudicate significative nel determinare la sofferenza del paziente. La codifica sistematica dei racconti degli episodi, riportati come esemplificativi di una tematica, ha permesso di cogliere le trasformazioni esperienziali. Infatti, come sopra sinteticamente accennato, la rifigurazione della narrativa personale non è un cambiamento dei punti di vista bensì la conseguenza dei cambiamenti dei propri modi di fare esperienza. La metodologia prevede i seguenti passaggi:
Nell’esempio clinico considerato, i risultati della codifica mostrano come da un punto di vista quantitativo la frequenza di episodi critici riportati lungo il corso della terapia e in ogni singolo colloquio decrescono sensibilmente nelle fasi finali della terapia: il paziente riferisce sempre meno situazioni di sofferenza e i singoli colloqui diventano via via monotematici (es.: grafico 1). Circa l’evolversi del cambiamento si riporta, a titolo esemplificativo, l’analisi di uno dei temi più significativi tra quelli emersi nella terapia del caso clinico preso in esame in questo lavoro: sentirsi non considerati/svalutati da parte dell’alterità. La “non considerazione” rappresentava un tce di estrema rilevanza, contestualizzato nell’intreccio di una storia di vita caratterizzata da una costante assenza di scambi interattivo-affettivi fin dall’infanzia. La maggior parte delle situazioni relazionali caratterizzate da un rifiuto (es.: non ricevere un finanziamento dalla banca), venivano riconfigurate dal paziente nei drastici termini di una non accettazione personale, perlopiù legata all’idea di non essere considerato degno, adeguato, capace, ecc. La disposizione emotiva generata da queste esperienze ha condotto, nel suo perpetuarsi, alla storicizzazione di sentimenti di rabbia e di sofferenza in ogni occasione di percepita svalutazione da parte dell’alterità. Nei primi colloqui, alla tematica si associano vissuti di ansia, ruminazione, insonnia e inazione, accompagnati da emozioni intense di rabbia, inadeguatezza, irritazione, odio, disagio, fastidio, tristezza, dispiacere, rassegnazione, inquietudine, rimorso e delusione. La mancata appropriazione esperienziale del paziente si esplicita nello spiegarsi la sofferenza come una conseguenza dei comportamenti inadeguati degli altri e non dei propri modi di essere (grafico 2). A seguito degli interventi del terapeuta, mirati a contestualizzare le emozioni e a permettere al paziente di creare parallelismi tra diverse esperienze appartenenti allo stesso tce, il paziente arriva in seduta portando spontaneamente una riflessione, esemplificativa dell'appropriazione dell'esperienza della non considerazione e di un racconto identitario (episodio 6a). In seguito si è potuto osservare un numero più esiguo di episodi problematici appartenenti al tce (non considerazione), e la sofferenza diviene meramente esistenziale. Il paziente riporta ancora episodi legati alla non considerazione, essendo questo un tema storico, ma le emozioni che vi si accompagnano assumono valore in relazione al contesto e alla rete coerente di rimandi. In altri termini, nell’esempio considerato (tce: non considerazione), si nota in modo evidente come il paziente, in seguito all’appropriazione occorsa in seduta (6°) della propria specifica modalità esperienziale, inizi a trasformare la modalità esperienziale stessa, rendendola emotivamente meno intensa e quantitativamente meno frequente. ConclusioniQuesto metodo di analisi del testo, qui sinteticamente esposto solo nelle sue linee generali, e al momento applicato a una sola psicoterapia, intende fornire un contributo metodologico e scientifico alle indagini della process-research. A partire da un insieme di temi critici esistenziali, che il terapeuta può formalizzare a partire dagli episodi raccontati dal paziente, risulta possibile un’analisi temporale dell’andamento degli stessi, sia sul versante della loro frequenza, sia sul versante della loro specifica modalità di manifestazione (natura degli episodi nei quali il tce occorre, qualità emotiva associata, ecc.). Inoltre, e questo dalla nostra ricerca preliminare sembra essere l’aspetto più importante, questo tipo di analisi ben si presta a correlare gli interventi del terapeuta con l’appropriazione/rifigurazione esperienziale del paziente circa i tce considerati. Bibliografia
Il termine resilienza viene dal latino <<resalio>> che significa saltare/rimbalzare.
In psicologia col termine resilienza si indica la capacità del soggetto di adattarsi agli eventi avversi della vita. La resilienza è, dunque, la capacità di un soggetto di mantenere un discreto livello di adattamento nonostante le circostanze sfavorevoli. Secondo Michael Rutter, la resilienza è la capacità di svilupparsi in modo accettabile, nonostante la presenza di uno stress o di un’avversità che comporta normalmente il rischio di un esito negativo. Si tratta, quindi, non solo di capacità di resistere alle avversità, ma soprattutto di capacità di superare le difficoltà: la persona resiliente, infatti, quando è sottomessa a pressioni, non soltanto resiste, ma è in grado di proteggere la sua integrità, di costruirsi ed aprirsi strade alternative. Ne sono una dimostrazione i sopravvissuti ad eventi traumatici o altamente stressanti: accanto a persone che rimangono irrimediabilmente segnate dalle esperienze vissute, ci sono persone che, al contrario, riescono ad utilizzare quelle esperienze per apprendere qualcosa di sé o dell'ambiente che li circonda. La resilienza è, in altre parole, la capacità di trasformare un'esperienza difficile, dolorosa o stressante in un apprendimento. La persona resiliente, infatti, è capace di acquisire delle competenze utili al miglioramento della qualità di vita e all’organizzazione di un percorso autonomo e soddisfacente, nonostante la difficoltà. Se l'ambiente in cui l'individuo si ritrova a vivere è ostile o non accogliente, il soggetto con una buona capacità di resilienza riuscirà ad adattarsi, promuovendo un cambiamento di sé che faciliti quell'adattamento. Si tratta, dunque, di un processo di continuo riadattamento, che la persona mette in atto di fronte alle avversità che incontra nella sua vita riuscendo a crescere e vivere “sana” pur in condizioni svantaggiate. Caratteristiche La resilienza non è statica, ma dinamica. Ogni situazione, ogni momento storico della vita di una persona o di una società porterà ad un rimaneggiamento della capacità di resilienza di ognuno. La resilienza, infatti, è il risultato dell'interazione dinamica di 3 elementi, che sono:
Per spiegare bene il concetto Anthony ha proposto la cosiddetta metafora delle 3 bambole. Se prendiamo 3 bambole composte da materiali differenti (vetro, plastica e acciaio) e diamo a ciascuna bambola un colpo di martello di pari intensità, gli effetti del colpo saranno differenti a seconda del materiale di cui è fatta la bambola: la bambola di vetro si frantumerà in mille pezzi; la bambola di plastica riporterà una cicatrice permanente; la bambola in acciaio non subirà alcun danno. Tale metafora è stata ripresa e modificata da Manciaux, che ha sottolineato che la capacità di resilienza di un individuo non dipende solo da fattori personologici, ma è il risultato dell'interazione di più fattori. Se lasciamo cadere una bambola, quindi, l’oggetto si romperà più o meno facilmente a seconda: - della natura del suolo: cemento, sabbia… - della forza del lancio: negligenza o aggressione - del materiale di cui è fatta: vetro, porcellana, pezza o acciaio. Il suolo rappresenta l’ambiente/contesto nel quale il soggetto vive (familiare, sociale e culturale); il lancio rappresenta l’evento difficile o traumatico vissuto, lo stressor; la resistenza del materiale è il livello di vulnerabilità legato alla personalità del soggetto. Strategie utili per sviluppare resilienza:
di Dott.ssa Maria Luisa Abbinante La resilienza: cos'è? didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Le ricerche epidemiologiche, negli ultimi anni, hanno mostrato un incremento dei tassi di prevalenza dei disturbi psichici in età evolutiva. In particolare è emerso che circa il 10% dei ragazzi compresi nella fascia d'età 14/18 (pre-adolescenti e adolescenti) soffrono di un disturbo psichico di diversa natura.
In tutti i campi della medicina e della salute si diffonde la cultura della prevenzione. Prevenzione, riprendendo la definizione del World Health Organization, non significa soltanto creare le condizioni affinché una condizione di rischio non si verifichi (prevenzione primaria), ma è anche diagnosi precoce (prevenzione secondaria) e intervento tempestivo (prevenzione terziaria). Da qui la necessità, sostenuta a più voci, di individuare precocemente i disturbi psicopatologici gravi (es. le psicosi) con esordio in epoca adolescenziale, al fine di un trattamento precoce. L'intervento precoce, infatti, aumenterebbe la recovery dei pazienti, con un minore rischio di cronicizzazione del disturbo, minori tassi di disabilità e compromissione del funzionamento generale, sociale e lavorativo e minore ricorso al ricovero ospedaliero. In effetti, da più fronti, la ricerca ha evidenziato che il mancato intervento, nei casi di disturbi psicopatologici gravi, porta ad una progressiva perdita delle abilità cognitive e sociali del soggetto, che, a loro volta, offrono un terreno fertile ad un ulteriore peggioramento sintomatologico e comportamentale. Il Piano Nazionale Salute Mentale (2013) sostiene la necessità di dare avvio ad esperienze cliniche sperimentali dedicate alla fascia adolescenziale, ponendo particolare attenzione agli esordi di disturbi psicologici gravi e alla necessità di integrazione con i servizi di salute mentale dedicati agli adulti. Il trattamento dei disturbi psichici nella fascia d'età adolescenziale, infatti, presenterebbe non poche criticità, tra cui: la scarsa afferenza di adolescenti e pre-adolescenti alle unità operative di neuropsichiatria dell'infanzia e adolescenza, che rimangono entro il 4% nonostante la stima della psicopatologia si attesti attorno al 10%; le difficoltà nella gestione delle acuzie psichiatriche in adolescenza, a causa del numero esiguo di posti letto e di reparti di neuropsichiatria atti ad accogliere le urgenze, che porta spesso a dei ricoveri impropri; il passaggio della presa in carico dalla neuropsichiatria alla psichiatria al compimento del 18°anno di età, spesso difficoltoso a causa della mancata integrazione dei servizi. Costruire un servizio dedicato alla diagnosi e trattamento precoce dei disturbi psicopatologici in adolescenza significa, quindi, porsi in un'ottica di:
Come detto sopra, parlare di diagnosi precoce è particolarmente importante quando si affronta il tema delle psicosi. La ricerca, negli ultimi anni, ha sostenuto la possibilità di individuare precocemente situazioni di rischio di esordio psicotico, gli Ultra High Risk o Stati Mentali a Rischio, che individuano soggetti, considerati a rischio di sviluppare un disturbo grave, sulla base della presenza di segni e sintomi considerati prodromi dei distubi psicotici (Edwards & McGorry, 2002), Più in generale possiamo distinguere diversi stadi che portano alla manifestazione psicotica, che sono:
Hafner (1996) sostiene che, in media, tra la comparsa dei primi segni di malattia e l'esordio psicotico acuto passano circa 5 anni, periodo che potrebbe essere sfruttato per attivare interventi volti a prevenire la comparsa della franca psicosi o a minimizzarne le conseguenze: l'intervento precoce, infatti, produce effetti favorevoli a lungo termine sul decorso dei sintomi negativi, depressivi e cognitivi, oltrechè sul funzionamento sociale dei soggetti. Intervenire al fine di riddurre la durata della psicosi non trattata (DUP), quindi, significa migliorare l'outcome e la recovery di tali soggetti. Tale possibilità di maggiore recupero in caso di intervento precoce deriva dalla teoria del deficit neuromaturazionale, la teoria più accreditata in questo momento sull'eziologia delle psicosi e della schizofrenia, che postula che ci sarebbe una vulnerabilità biologica (innata o acquisita) alla psicosi, quella che molti autori chiamano schizotipia. Non necessariamente tale vulnerabilità porta alla psicosi franca, ma può esitare in una serie di sintomi o quadri sub clinici, come disturbi schizoidi o schizotipici. Tale vulnerabilità rimarrebbe latente per tutta la prima infanzia (sebbene possano esserci alcuni elementi che, a posteriori, sono valutati come fattori di rischio permanenti), per poi essere pienamente espressa a partire dall'adolescenza, con la quasi completa maturazione del sistema nervoso centrale. Se la teoria del deficit neuro-maturazionale è vera, quindi, permettere ai soggetti che presentano segni di rischio di accedere ad interventi terapeutici e di sostegno dovrebbe diminuire l'impatto di tale deficit e interrompere la spirale che porta al graduale peggioramento dei sintomi. Bibliografia
di dott.ssa Maria Luisa Abbinante Esordi Psicopatologici in adolescenza: la necessità di integrazione, diagnosi precoce e trattamento tempestivo. didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale. Anche quest'anno partirà il "M.I.P. - Maggio di Informazione Psicologica", una manifestazione che ha lo scopo di informare su argomenti propri della psicologia e promuovere una cultura del benessere psicologico, con il coinvolgimento di professionisti psicologi in tutta Italia. Come negli scorsi anni, la dott.ssa Abbinante aderisce al M.I.P. dando la disponibilità ad effettuare un numero limitato di primi colloqui gratuiti nel mese di Maggio. Puoi prenotare già da oggi il tuo primo colloquio gratuito attraverso il form qui sotto o attraverso la pagina Contatti di questo sito. Il colloquio sarà effettuato nel mese di Maggio in date da stabilirsi. di dott.ssa Maria Luisa Abbinante
A partire dagli anni 70 si è assistito ad un cambiamento nel mondo della psichiatria, con il passaggio da un modello psichiatrico di tipo custodialistico, di cui i manicomi erano la rappresentazione fondamentale, ad un modello orientato alla recovery.
Per recovery si intende un processo di cambiamento attraverso il quale gli individui migliorano il proprio stato di salute e di benessere, vivono una vita auto-diretta e cercano di esprimere il loro pieno potenziale (SAMHSA, 2011). Dimensioni cruciali della recovery psichiatrica sono, quindi:
Il modello orientato alla recovery si sviluppa prima nei paesi anglosassoni, dove si diffonde anche l'idea che la recovery possa esser favorita dal supporto tra pari. Solo recentemente tale modello è arrivato in Italia e stà trovando attuazione in diversi programmi di intervento all'interno dei dipartimenti di salute mentale e nel terzo settore. Nel 2010, l'OMS ha pubblicato un documento "Users empowermwnt in mental health. Empowerment is not a destination but a journey", che sottolinea come, all'interno del contesto della salute mentale, il concetto di recovery sia legato a doppio filo con la possibilità di scelta, di decisione e controllo che gli utenti dei servizi di salute mentale possono avere sugli eventi della propria vita. Cosa si intende per supporto tra pari? Il supporto tra pari può essere definito come il supporto emotivo e pratico mutualmente offerto da persone che condividono una medesima condizione, al fine di ottenere un cambiamento ed una crescita personale e sociale. Strumento è il gruppo di auto-aiuto. Come funziona il supporto tra pari? Tale strategia di intervento si basa sulla figura di un Peer Supporter, ovvero di un individuo, che ha sofferto di un disturbo mentale importante, ma che ora si trova in una fase avanzata di recovery (di recupero) e che, in virtù della propria esperienza personale di malattia, ben conosce le difficoltà connesse alla malattia mentale e allo stigma. Il Peer Supporter, così, diventa un riferimento positivo e a cui aspirare all'interno del suo gruppo. Efficacia del supporto tra pari. Le ricerche condotte in questo campo mostrano che il supporto tra pari porta dei benefici sia al Peer Supporter che ai soggetti in fase di recovery meno avanzate, infatti:
Bibliografia
La recovery psichiatrica e il supporto tra pari. didott.ssa Maria Luisa Abbinante è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale. |
dott.ssa Abbinante
È Psicologa Consulente presso l'UONPIA (Unità Operativa di NeuroPsichiatria dell'Infanza e dell'Adolescenza) della ASST Rhodense di Garbagnate Milanese nell'ambito del Programma Innovativo Regionale “Procedura Operativa dell'emergenza/urgenza psichiatrica in adolescenza”, dove si occupa di diagnosi e trattamento di disturbi psicopatologici con esordio in adolescenza. Si occupa di valutazione e trattamento di esordi psicopatologici nell'infanzia e nell'adolescenza, di interventi di supporto della genitorialità, di sostegno psicologico a persone con malattia cronica e di prevenzione ed intervento precoce nella fragilità dell'anziano. Argomenti trattati nel sito
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Marzo 2020
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